Se cercate un albo di
rock “classico” rilassante e accogliente, che non pretende per nulla di cambiare le “regole del gioco”, ma le tratta con un buongusto e una sensibilità veramente “disarmanti”, il mio consiglio è di rivolgervi immediatamente al debutto eponimo dei
The Speaker Wars.
Scoprire che dietro al
monicker c’è un signore che si chiama
Stan Lynch, per lungo tempo collaboratore di
Tom Petty (con cui ha fondato gli Heartbreakers), nonché autore e produttore per (tra gli altri) Eagles,
Don Henley,
Ringo Starr, The Byrds, Toto e The Fabulous Thunderbirds, fornisce all’ascoltatore una polizza assicurativa ad elevata copertura vocazionale e artistica, mentre per il sottoscritto la vera “sorpresa” della situazione è
Jon Christopher Davis, cantautore texano la cui voce sembra proprio creata per queste sonorità.
Ne scaturisce un disco su cui fatalmente aleggia l’influsso benefico di
Thomas Earl Petty (artista dalle nostre parti probabilmente non considerato come merita), a cui si aggiungono contributi ispirativi di “gente” come
Jackson Browne,
George Harrison,
Jeff Lynne,
Eric Clapton,
Don Henley e degli stessi Eagles, a plasmare un calderone sonoro intriso del tipico spirito del
roots-rock americano, fregiato da suggestioni di carezzevole psichedelia.
Nulla di “nuovo”, dunque, e tuttavia talmente ben fatto da non destare alcuna obiezione in merito alle scelte espressive di un gruppo intimamente radicato in questa “antica” mistura di
folk,
pop,
blues e
rock n’ roll.
La prima parte dell’opera è la migliore o quantomeno la più “digeribile” per una platea
rockofila ad ampio spettro, grazie alla
verve di “
You make every lie come true”, alle foschie malinconiche di “
It ain't easy” e alle vaporose trame Beatles-
iane di “
Taste of heaven”, seguite a ruota dal tocco CSN&Y concesso a “
Never ready to go”, dall’accorata ballata “
The forgiveness tree” e dalla ruvida “
When the moon cries wolf”, pulsante di fervido orgoglio
rhythm n’ blues.
Da qui in avanti il clima della raccolta si sposta in maniera piuttosto risoluta verso territori squisitamente
country, un ambito magari un po’ meno conforme ai gusti dei lettori di questa
webzine e in ogni caso rappresentato da tracce non particolarmente avvincenti pure per gli estimatori del genere, i quali ritengo potranno inserire con difficoltà “
Trader's south”, “
Leave him” e “
Sit with my soul” tra i loro brani preferiti del 2025.
A sigillare i profondi contenuti di “
The speaker wars” arriva, infine, la languida “
I wish you peace”, emblema di un auspicio corale a cui, fuor di retorica, non si può far altro che unirsi, sostenendolo con convinzione ben consapevoli dei risvolti tragicamente utopistici dell’annosa questione.
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