Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2025
Durata:112 min.

Tracklist

  1. ODE TO THE REFLECTIVE MIND
  2. INSIDE OUT
  3. PULSE
  4. SOLITARY WALK
  5. ARIA
  6. UNDERGROUND
  7. THE GEOMETRY OF NOTHING
  8. MARE NOSTRUM
  9. WORLDS APART
  10. THE OTHER CORNER
  11. SHRINE
  12. GRAVE NEW WORLD
  13. SEPTEMBERS’ GHOST
  14. ECHO OF SILENCE
  15. REMEMBER, NOW
  16. A RELENTLESS ELEGY OF LAZINESS
  17. THE RIVER BEND
  18. THE PHYSIOPATHOLOGY OF EVERY DAY DREAM
  19. THE GEOMETRY OF NOTHING (FT. ZAK STEVENS)

Line up

  • Vito F. Mainolfi: guitar
  • Ezio Di Ieso: keyboards, piano
  • Alfonso Mocerino: drums
  • Michele Guaitoli: vocals
  • Giovanni Montesano: bass

Voto medio utenti

Cari amanti del progressive metal elegante, ma incisivo, qui c’è pane per i vostri denti!

Secondo capitolo discografico per i Pentesilea Road, creatura ideata dal chitarrista italiano Vito F. Mainolfi che, dopo il promettente omonimo debutto di quattro anni fa, dà alle stampe il nuovo album, intitolato Sonnets From The Drowsiness.
Sgombriamo subito il campo da qualsiasi equivoco: si tratta di un lavoro emotivamente intenso, musicalmente ricercato e tremendamente ambizioso (addirittura un disco doppio, della durata totale di circa 105 minuti, se si esclude la bonus track The Geometry Of Nothing, con Zak Stevens nelle vesti di special guest).
Le composizioni si fanno apprezzare, oltre che per la spiccata eleganza, per la loro dimensione onirica (palpabile già dal seducente artwork e dai disegni del booklet), che ricalca la tematica trattata. A livello di lyrics, non siamo al cospetto di un vero e proprio concept, nel senso stretto del termine, eppure le tracce hanno un comune denominatore, rappresentato dalla sindrome del sogno lucido, concetto analizzato dettagliatamente e attraverso diverse sfumature, all'interno del disco.
Ci si ritrova cosi, catapultati in un mondo, a cavallo tra sogno e realtà e i brani, a loro volta, assumono delle sembianze surreali e visionarie, trasmettendo un caleidoscopio di emozioni intime e dirompenti al tempo stesso, mai fini a se stesse, che, per malinconia e drammaticità, sembrano richiamare i Fates Warning della “prima era Ray Alder” (si pensi a pezzi intimi, come Pulse, Aria, Remember Now, ma anche a tracce decisamente più ficcanti, come Underground o Echo Of Silence) o, se preferite, i Redemption degli esordi (Worlds Apart, Grave New World), ma si sente anche qualche eco di Vanden Plas (The River Bend), oltre alle solite immancabili influenze dei Dream Theater (emblematica l’opener Ode To The Reflective Mind, ma soprattutto, le strumentali Mare Nostrum, The Other Corner, o la suite conclusiva, intitolata The Physiopatology Of Every Dream).
Ottima la prova di tutti i musicisti; dalla chitarra di Vito Manolfi (raffinata, il più delle volte, ma capace anche di graffiare, se necessario), alle tastiere di Enzo Di Ieso, che disegnano le ambientazioni ideali, all’interno delle quali, la tematica si sviluppa, passando per una sezione ritmica variegata, curata da Giovanni Montesano (basso) e Alfonso Mocerino (batteria), ma soprattutto, spicca la prova, dietro il microfono, di un autentico fuoriclasse nel suo ruolo, ovvero Michele Guaitoli (un singer che non ha certo bisogno di presentazioni), che aveva già partecipato come special-guest in occasione del debutto e che, in questo Sonnets From The Drowsiness, assume il pieno comando delle linee vocali, scandendole con la propria intensa espressività.

Il difetto di questo album? Probabilmente la sua stessa ambizione, che lo porta a essere difficilmente assimilabile in pochi ascolti, in virtù anche del suo considerevole minutaggio!
Assai complicato, ai giorni nostri, pensare di ritagliarsi quasi 2 ore di tempo per godersi il platter per intero, specie di questi tempi superficiali, scanditi da maledette playlists e soglie di attenzione paragonabili a quelle di un microcefalo!
Eppure, Sonnets From The Drowsiness, nonostante la sua lunghezza, si rivela piacevolmente scorrevole; merito della sua grazia compositiva e delle abilità di scrittura dei Pentesilea Road, capaci di far emergere, in ogni istante, tutta la propria classe, facendosi strada tra le nebbie delle loro stesse enormi aspirazioni e di quel denso alone di malinconia che avvolge il disco, all’interno del quale, eleganza, tecnica, melodia e sentimento, riescono sempre prevalere.





Recensione a cura di Ettore Familiari

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