Cari amanti del progressive metal elegante, ma incisivo, qui c’è pane per i vostri denti!
Secondo capitolo discografico per i
Pentesilea Road, creatura ideata dal chitarrista italiano
Vito F. Mainolfi che, dopo il promettente
omonimo debutto di quattro anni fa, dà alle stampe il nuovo album, intitolato
Sonnets From The Drowsiness.
Sgombriamo subito il campo da qualsiasi equivoco: si tratta di un lavoro emotivamente intenso, musicalmente ricercato e tremendamente ambizioso (addirittura un disco doppio, della durata totale di circa 105 minuti, se si esclude la bonus track
The Geometry Of Nothing, con Zak Stevens nelle vesti di special guest).
Le composizioni si fanno apprezzare, oltre che per la spiccata eleganza, per la loro dimensione onirica (palpabile già dal seducente artwork e dai disegni del booklet), che ricalca la tematica trattata. A livello di lyrics, non siamo al cospetto di un vero e proprio concept, nel senso stretto del termine, eppure le tracce hanno un comune denominatore, rappresentato dalla sindrome del sogno lucido, concetto analizzato dettagliatamente e attraverso diverse sfumature, all'interno del disco.
Ci si ritrova cosi, catapultati in un mondo, a cavallo tra sogno e realtà e i brani, a loro volta, assumono delle sembianze surreali e visionarie, trasmettendo un caleidoscopio di emozioni intime e dirompenti al tempo stesso, mai fini a se stesse, che, per malinconia e drammaticità, sembrano richiamare i
Fates Warning della “prima era Ray Alder” (si pensi a pezzi intimi, come
Pulse, Aria, Remember Now, ma anche a tracce decisamente più ficcanti, come
Underground o
Echo Of Silence) o, se preferite, i
Redemption degli esordi (
Worlds Apart, Grave New World), ma si sente anche qualche eco di
Vanden Plas (
The River Bend), oltre alle solite immancabili influenze dei
Dream Theater (emblematica l’opener
Ode To The Reflective Mind, ma soprattutto, le strumentali
Mare Nostrum, The Other Corner, o la suite conclusiva, intitolata
The Physiopatology Of Every Dream).
Ottima la prova di tutti i musicisti; dalla chitarra di
Vito Manolfi (raffinata, il più delle volte, ma capace anche di graffiare, se necessario), alle tastiere di
Enzo Di Ieso, che disegnano le ambientazioni ideali, all’interno delle quali, la tematica si sviluppa, passando per una sezione ritmica variegata, curata da
Giovanni Montesano (basso) e
Alfonso Mocerino (batteria), ma soprattutto, spicca la prova, dietro il microfono, di un autentico fuoriclasse nel suo ruolo, ovvero
Michele Guaitoli (un singer che non ha certo bisogno di presentazioni), che aveva già partecipato come special-guest in occasione del debutto e che, in questo
Sonnets From The Drowsiness, assume il pieno comando delle linee vocali, scandendole con la propria intensa espressività.
Il difetto di questo album? Probabilmente la sua stessa ambizione, che lo porta a essere difficilmente assimilabile in pochi ascolti, in virtù anche del suo considerevole minutaggio!
Assai complicato, ai giorni nostri, pensare di ritagliarsi quasi 2 ore di tempo per godersi il platter per intero, specie di questi tempi superficiali, scanditi da maledette playlists e soglie di attenzione paragonabili a quelle di un microcefalo!
Eppure,
Sonnets From The Drowsiness, nonostante la sua lunghezza, si rivela piacevolmente scorrevole; merito della sua grazia compositiva e delle abilità di scrittura dei
Pentesilea Road, capaci di far emergere, in ogni istante, tutta la propria classe, facendosi strada tra le nebbie delle loro stesse enormi aspirazioni e di quel denso alone di malinconia che avvolge il disco, all’interno del quale, eleganza, tecnica, melodia e sentimento, riescono sempre prevalere.